A volte si pensa che gli alberi genealogici siano cose da famiglie nobili, blasonate. In realtà chiunque può cominciare la sua ricerca genealogica e trarne fuori grandi soddisfazioni, anche chi, come la sottoscritta, discende da generazioni e generazioni di contadini perlopiù poveri e analfabeti. Perché la verità è che tutte le persone vissute in Europa, almeno negli ultimi quattrocento anni, hanno lasciato delle tracce scritte del loro passaggio sulla terra.
Facciamo l’esempio di un bambino che nasce in Sicilia nel 1843. Il nostro bambino si
chiamerà, poniamo, Giovanni. Il padre di Giovanni lavora le vigne, la madre
cuce per arrotondare il bilancio familiare. Giovanni ha sei tra fratelli e
sorelle e vivono tutti in una casa di tre stanze, che condividono con l’asino
di famiglia. Nessuno nella famiglia sa leggere e scrivere, e dovranno passare
decenni prima che un loro discendente impari a farlo.
Il giorno stesso in cui Giovanni viene al mondo viene battezzato, perché all’epoca si fa grande attenzione ad evitare che un bambino muoia senza battesimo: così, il suo nome è trascritto sul registro dei battezzati di quell’anno, con la consueta formula in latino. Il giorno dopo, suo padre va in comune e fa trascrivere la nascita nel registro di stato civile, dove vengono appuntate tutte le informazioni rilevanti del caso, dall’ora della nascita al mestiere e all’età dei genitori (nell’Italia meridionale già all’epoca è presente l’ufficio di Stato Civile, che nel Nord arriverà una ventina d’anni dopo).
Il nostro Giovanni cresce, e nel
frattempo, la sua regione viene annessa al nuovo Regno d’Italia. Tra le novità
del nuovo stato vi è il servizio di leva obbligatorio. Nel 1861 il nome di
Giovanni compare nelle liste di leva, la lista dei giovani che devono prestare il
servizio militare. La sua famiglia non se lo aspetta ed è spiazzata, ma non
c’è niente da fare: Giovanni è costretto a partire per il Nord Italia, dove
resta per alcuni anni. Tutte le informazioni più importanti su di lui (età,
altezza, colore dei capelli, segni particolari) vengono annotate nel suo
fascicolo personale, il cosiddetto foglio matricolare.
Tornato in paese, può finalmente sposare Margherita, la
ragazza con cui si scambia sguardi da anni. Dopo averla chiesta in
moglie alla famiglia, va in chiesa e in comune per organizzare le nozze. I nomi
dei due promessi sposi vengono pubblicati sulla porta della chiesa e presso il comune,
affinché se qualcuno avesse qualcosa da contestare sulla loro unione possa
farsi avanti. Nessuno contesta nulla e così Giovanni e Margherita si sposano
nel luglio del 1873. I dettagli del loro matrimonio vengono appuntati in latino
nel registro parrocchiale e in italiano nel registro di stato civile.
Alcuni anni dopo due fratelli di Giovanni partono per gli
Stati Uniti e indicano l’indirizzo di Giovanni come quello del loro parente più
prossimo nei registri di arrivo a New York.
Giovanni e Margherita avranno, negli anni seguenti, undici
figli, di cui sette raggiungeranno l’età adulta. A ogni figlio che nasce, muore
o si sposa, il nome di Giovanni ricompare puntualmente nei registri
parrocchiali e civili. Compare anche negli atti del notaio, quando finalmente Giovanni
e Margherita riescono a comprarsi una nuova casa con un pezzettino di terreno. Finché,
nel 1938, l’atto del secondo matrimonio di un suo figlio riporta la dicitura “figlio
di fu Giovanni”. Il “fu” indica il padre non è più in vita. Infatti Giovanni è
morto nel 1936. Sulla tomba, la famiglia ha fatto incidere un epitaffio lungo
come quelli che si usavano una volta, che decanta le virtù di un buon padre di
famiglia: l’ennesima traccia terrena della vita di Giovanni.